Quando il gioco si fa duro

Quando il gioco si fa duro…

Chi come me ha il piacere di dedicarsi ormai da lungo tempo alla pesca della carpa, oggi conserva sicuramente piacevoli ricordi dei bei tempi che furono. Tornando a ritroso nel tempo (non troppo indietro mi raccomando, che poi ci si accorge di non essere più quelli di una volta) certamente i bei ricordi legati aiprimi approcci con il carp fishing, possono impegnare un bel posto in classifica nel nostro album della vita . Quale carpista con un po’ di sentimenti, potrà mai dimenticare la sua prima carpa “allamata” con l’hair rig, proviamo a pensarci su un momento a quel fatidico giorno, per tanti ormai lontano, quanti pensieri accompagnarono il nostro primo lancio: la nuova montatura e quello strano modo di legarvi l’esca, scetticismo e speranza si fondevano insieme, nell’attesa di qualcosa che mai avremmo sospettato ci avrebbe in seguito cambiato la vita. Poi finalmente arrivò, tremenda come una mazzata, forte come mai ci saremmo immaginati, la soddisfazione della prima cattura, con il cuore a mille e l’animo in tumulto una mano a stringere la canna e l’altra il guadino, un tempo non breve ma infinito e poi la conclusione. La carpa stremata in un guadino troppo piccolo per quel bel pesce ( allora non si pensava in grande) e noi dall’altra parte ormai appagati e stanchi, abbandonati sulla riva in beata contemplazione della nostra amante”… ebbene si ragazzi! Confessiamocelo tra carpisti e teniamolo per noi, che tanto i comuni mortali non ci capirebbero, quell’infuriare di sentimenti e quell’inseguirsi di sensazioni è stato per noi come il primo abbraccio ricevuto da una donna, è cosi, la voluttà della prima volta (vediamo chi ha il coraggio di negare) non si dimentica più. Tanta acqua è passata sotto i ponti e anche diverse…carpe, sul materassino, direbbero i più impenitenti, e oggi? Ora che siamo carpisti evoluti e nulla crediamo di dovere imparare, proviamo un poco a fare un serio bilancio di quello che è stato, quello che è ora e quello che sarà. Non devo riflettere a lungo per concludere che quello che è stato, appare migliore di quello che è ora, non è un gioco di parole è soltanto una considerazione, tutta basata su una personale analisi delle mie esperienze di carpista. Qualche anno fa il “gioco” era più facile, è fuor di dubbio, se dovevo tentare un posto a me nuovo, mi bastava raccogliere qualche informazione sul luogo di mio interesse, poi con un pochino di spirito di osservazione scovavo in quel sito un fondale promettente, magari della vegetazione acquatica che mi faceva “trillare un campanello” e se la fortuna era con me e durante i miei sopralluoghi incontravo qualche carpa particolarmente euforica e in vena di mostrarsi in acrobazie sul pelo dell’acqua, il più era fatto, il gioco poteva iniziare.

Una serie di pasturazioni regolari, sia per quantità che per orari, e in termine di qualche giorno già potevo essere in pesca. Non affermo che sempre era festa, questo tipo di fesserie non rientra nei miei modi di porgermi al lettore, ma in ogni caso spesso tutto funzionava, scontato e produttivo come tutte le cose semplici. Oggi non è più così le cose si stanno complicando e il gioco si fa duro, verrebbe da dire che è ora che i duri inizino a giocare, ma non sempre è facile essere dei “duri”, anche perché in fondo la posta in gioco non è che sia enorme, si tratta solo di prendere un pesce e se si resta con i piedi per terra e non ci si lascia sviare da coloro che considerano piccola una carpa di dieci chilogrammi, l’obiettivo resta il solito, catturare un bel pesce, magari anche qualcosa in più di uno, possibilmente di taglia rispettabile e soprattutto divertirsi, che non dimentichiamolo è la cosa che più conta, il resto sono balle. Certo adeguarsi ai tempi non sempre risulta facile, specialmente per chi ha vissuto gli albori di questa pesca in Italia, il tempo è capace di affievolire tutto, ma non le grandi passioni, la parola d’ordine per tutti è ”resistere” e qui bisogna riconoscere che un po’ duri per fare questo, bisogna esserlo. Le difficoltà sono molte, in primo luogo bisogna dire che ormai siamo veramente in tanti, e questa è cosa buona e giusta, ma è evidente che molti commensali che aumentano intorno alla stessa tavola, devono per forza stringersi e talvolta ridurre le porzioni, non so se l’esempio calza alla perfezione ma credo che per noi carpisti oggi sia così. Probabilmente difettiamo un po’ tutti in fantasia e in intraprendenza, e così tendiamo ad ammassarci nei soliti posti, affolliamo dei luoghi perché sappiamo che qualcuno prima di noi ha catturato e trascuriamo tante altre acque o più semplicemente postazioni di un determinato lago o fiume, solo perché temiamo di non avere successo, il nuovo ci spaventa e ci disorienta, il cappotto è un’evenienza da rifuggire ad ogni costo e allora avanti, tutti all’ammasso, come bravi vacanzieri d’agosto in fila ordinata e disperata davanti al casello, così facciamo anticamera in un determinato spot in attesa che chi ci ha preceduto lo liberi e ci lasci il posto. Quante speranze deluse e preziose giornate sprecate, nell’ attesa di qualcosa che forse per noi non arriverà, e magari cinquecento metri più a monte della nostra postazione grufola tranquillo un branco di carpe, lì proprio dove nessuno vi ha mai pescato. Fosse solo il fatto dell’eccessivo affollamento a complicare le cose, risulterebbe ben poca cosa di fronte allo zelo dei tutori delle acque Italiane che applicano leggi e regolamenti ormai, anche su ammissione di alcuni di loro, obsoleti e vessatori. Infine come se non bastasse ci si mettono anche le carpe a fare le difficili, furbe come sono negli anni hanno fatto esperienza e si vede, anche imparando un pelino in più di noi, non cadono più così facilmente su una colorata e profumata proposta, messa in acqua dal primo carpista che passa, ci vogliono proposte serie e attiranti per convincerle ad abboccare, molto complicate nei loro gusti si sono evolute come ci siamo evoluti noi, con la differenza che noi giochiamo a prenderle, fotografarle e poi rilasciarle, loro prendono tremendamente sul serio il fatto di non volersi concedere a nessuno, tanto meno per questo tipo di soddisfazioni. La sfida continua, venga qualcuno a dirci che noi carpisti non siamo dei duri, magari con ogni confort nei nostri super attrezzati accampamenti, ma sempre dei duri siamo, se non altro per la stoica sopportazione del nostro cronico autolesionismo e di quant’ altro al mondo, accade ai nostri danni.

Lago di Bolsena prima settimana di luglio, finalmente la tanto attesa data della riapertura dopo quella di chiusura del fermo riproduttivo, quello di calendario s’intende, perché quello biologico (che va rispettato!) è da tempo che è passato e le carpe sono tornate alla normale attività ormai da qualche settimana. Io e miei compagni di pesca, se pur a malincuore abbiamo rispettato anche quella di calendario, quest’ anno la vigilanza sul lago ha stretto una specie di morsa intorno alle sue sponde. Abitualmente al primo incontro, al carpista preso in flagranza di reato è comminato un severo ammonimento e null’altro, alla seconda visita se la prima non ha sortito effetto, tolleranza zero e giù verbali come se piovesse, alcuni sventurati carpisti ne hanno fatto le sostanziose spese e si mormora che, vanno ancora oggi massaggiandosi un dolorante fondo schiena, proprio là, dove normalmente chiunque alloggia il portafogli.
Passato il fermo pesca, rimane il divieto di pesca notturna e di campeggio, altro scoglio difficile da aggirare, negli anni passati sembrava che la notte i carpisti in azione fossero tollerati, ora molto meno e tutto si complica ancora di più. Ma come rinunciare alle magnifiche carpe di questo lago, dove le trovi delle regine così belle e forti, tutte di ottima taglia e in forma smagliante come poche, combattenti dalle formidabili doti sono capaci di portarti a spasso sopra la tua barchetta alla velocità di un buon motore elettrico, ti fanno dannare l’anima prima di arrendersi, e quando credi che si siano arrese ancora sono capaci di saltare fuori dal guadino una, due, tre volte, se sei solo a “lavoratele” sono dolori, mettono alla frusta senza sconti i tuoi nervi e la tua attrezzatura. Proprio non riesco a rinunciare a tutto questo, credo capirete, e quindi mi “adeguo in più modi”, il primo è pescare solo di giorno, il secondo immaginatelo voi. Anche le carpe di Bolsena al pari delle altre si sono evolute, le abbondanti pasturazioni di un tempo e la regola di un tempo che recitava “ a Bolsena quel che inneschi… inneschi” non vale più, ora si fa sul serio e il rischio di cappotto è divenuto veramente elevato. Intanto bisogna evidenziare il fatto, che l’impiego indiscriminato del “long range” ha contribuito nelle postazioni più note ad un progressivo allontanamento delle carpe, dove qualche anno fa si catturava a tiro di lancio anche su due metri d’acqua specialmente di notte e in estate, ora si devono cercare a trecento metri e oltre, non c’è che dire un bel modo per complicarsi la vita!
La riprova di quanto affermo la trovo nelle tre postazioni di Bolsena che frequento, per il momento, ci pesco io e pochi fidati compagni, il nostro range di distanza va da un minimo di trenta metri da riva ad un massimo di cento metri, e pur non avendo fatto chissà quali eclatanti catture, anche se a onor del vero devo dire che ci difendiamo, e ogni tanto qualche “pezzo” intorno ai venti kg salta fuori, catturiamo con una certa continuità e sempre a quelle distanze. Non vediamo quindi il motivo di allontanarle dalla nostra portata, speriamo che eventuali “ospiti” che andranno ad occupare quelle postazioni non decidano di fare diversamente, il lago è di tutti e se trovi qualcuno che mezz’ora prima di te ha montato il campo sul tuo spot, c’è solo da ritirarsi con una certa eleganza e fare buon viso a cattivo gioco, gli dici che è meglio pescare non tanto lontano e te ne vai da un’altra parte, la prossima volta ti svegli prima! anche questo è carp fishing.
Ma se i problemi sono questi alla fine si possono tutti superare, resta solo quello principale, intanto tra tutti questi ostacoli non bisogna perdere di vista il fatto che uno sta su una sponda per pescare e possibilmente catturare, quindi la priorità da affrontare è un notevole calo delle catture, che come ho già detto non sono più abbondanti come anni indietro.
Diversificare, è la frase che più ricorre tra me ed i miei amici, quindi cambiare approcci e strategie,
ma non sempre è facile, cosa ti vai ad inventare in una tecnica come il carp fishing dove tutto è si estremamente tecnico ed evoluto, ma poi ti accorgi che aldilà di quattro o cinque tipi di presentazione dell’esca, che possono risultare efficaci la zuppa è sempre quella. Presentazione affondante su fondale compatto e sabbioso e fin qui va bene, una piccola variazione sul tema “snow man” una affondante e una pop up che si controbilanciano, o una pop up staccata dal fondo, ma quanto staccata? “anche di molto” direbbe il mio amico Giovanni con il suo inconfondibile accento Toscano. La carpa che potete vedere nella foto che mi ritrae “in sua compagnia” l’ho catturata impiegando una montatura realizzata in line, zavorrata da un leggero piombo di 60gr, montato su lead core, impiegando un lungo terminale (70 cm) in fluor carbon da 25lbs dove ho legato un amo montato d-rig, tenuto in sospensione da una pop up al mais “devil baits”. Ho calato direttamente dentro un banco di alghe che qui chiamano “oglie” ed ho aspettato. Dal giovedì sera alla domenica mattina per la precisione, poi alle 11,30 il fischio gioioso del primo dei miei Delkim ha sovrastato gli urli e il rumore provocato in acqua da “quei due angioletti dei miei figlioli” che sguazzavano allegramente a non più di trenta metri dal mio calamento. Venti kg di muscoli e potenza hanno preso oltre 100 m di filo, prima che io afferrata la canna potessi stabilire il contatto con quel pesce, la carpa procedeva in rabbiosa accelerazione verso il centro lago e io dietro sul minuscolo canotto di Alessandro, un combattimento come quelli che piacciono a me, è stato il regalo di questa splendida avversaria.
Il funghetto, non riesco a spiegarmi perché renda così bene in questo lago e su questi pesci, ma un mio personale pur semplicissimo metodo di variazione sul tema snow man, talvolta mi ha regalato buone soddisfazioni, l’ho ribattezzato “funghetto” per via del suo buffo aspetto, non è nulla di speciale, si tratta di inserire la pop up in tandem con l’affondante, la tagliandola a metà e utilizzare solo una delle due semisfere che ottenute, realizzo così una specie di simpatico funghetto, che per qualche imperscrutabile mistero del carp fishing batte dieci a uno la classica presentazione snow man con due boilies intere. Valle a capire certe sottigliezze che apprezzano le carpe di questo lago, stessa montatura stesse boilies stessa presentazione, vince però quella che si presenta a “funghetto” e io continuo a non capire, ma mi adeguo. Infatti, la mia seconda cattura della giornata è caduta proprio sul funghetto, realizzato innescando due boilies “coctail frutti devi baits” stavolta però il tutto posizionato al margine del banco d’alghe , su una sostanziosa pasturazione di granaglie e boilies spezzate.
Pescare tra le alghe, capisco che non è facile entrare nell’ordine d’idee di calare le montature direttamente dentro un banco d’alghe, qui poi sono veramente impressionanti, si staccano dal fondo anche per parecchi metri e obbligano a operare delle scelte, in tema di attrezzature e lenze adeguate. Manco a dirlo, canne potenti e soprattutto in bobina è obbligatoria una buona treccia, sottile e robusta in grado di tagliare questa tenace vegetazione acquatica, se si ingaggia il combattimento peserà la nostra preda a fare una bella “rasatura” del fondo e le probabilità di portare a buon fine la cattura aumenta di molto, questo può risultare diverso se si impiega del nylon in bobina. Non bisogna assolutamente temere che le nostre pasturazioni tra i banchi d’alghe, risultino vane, è proprio là in mezzo che viaggiano le carpe, le alghe rappresentano per loro una immensa dispensa dove attingere ogni giorno, gamberetti e altri invertebrati vivono e prolificano tra quelle distese di erba, quindi individuare le nostre proposte non sarà per loro difficile, anzi visto che stiamo servendole in una sorta di grande sala da pranzo, ci sono buone possibilità che assaggino l’esca, forse più tranquillamente di quanto non siano abituate a fare in acque aperte. Certo pescare tra queste terribili alghe non è per gente che pretende che tutto scorra liscio e senza problemi, ci si deve veramente adeguare e preparare alle evenienze più fastidiose, come abbiamo detto la treccia è un buon rimedio ma non è la soluzione finale, servono anche terminali robusti, costruiti con materiali di sicura affidabilità e ami veramente a prova “d’apertura”. E’ su queste acque e in queste condizioni che ho avuto modo di testare per molto tempo, ami, filati da bobina e da terminale, della linea “Fishcon carpline”, un severo test in grado di evidenziare pregi e difetti di qualsiasi prodotto, esasperando al massimo ogni prova, comunque superata brillantemente.
Non è comunque solo una questione di materiali, è anche una questione di “testa”, si deve credere fermamente in quello che si sta facendo, i tempi sono duri e la strada appare in salita, ma è nelle difficoltà che ci si tempra, se tutto fosse facile probabilmente neanche si riuscirebbe più a divertirsi, questo è il sale della vita e anche del carp fishing, chiedetelo al mio amico Giovanni, “ un signor carpista” che sta portando avanti una faticosa sfida, alle grosse ospiti di un piccolo angolo di questo immenso lago. Quando il gioco si fa duro…, una storia mitica la sua, sono certo, che tra non molto tempo meriterà di essere raccontata.

Fabio Perisse